“Chi trova un amico trova un tesoro”. Per chi ha i capelli bianchi, questa frase porta alla memoria la canzone di una fortunata serie televisiva. Ma per il cervello di tutti, e in particolare, per quello degli anziani, l’amicizia può diventare un vero e proprio strumento di prevenzione e cura per il decadimento cerebrale: avere una rete di relazioni sociali può essere davvero una medicina, o se preferite un’integrazione a un sano stile di vita, tanto da poter vedere “misurati” i suoi effetti. Infatti, gli effetti benefici dell’amicizia possono essere paragonati all’azione terapeutica un farmaco sull’organismo.
Conta la dose del principio attivo – ovvero la vicinanza, l’empatia e la certezza di avere persone che ci stanno vicino e a cui star vicino – così come si può verificare anche quanto tempo di vuole per vedere gli effetti del “trattamento” fatto di abbracci, partite a bocce, serata a teatro o sulla pista da ballo. Se non credete a questi aspetti, leggete una ricerca condotta all’Università Statale della Pennsylvania, coordinata da Ruixue Zhaoyang e pubblicata su Plos One. Lo studio ha preso in esame poco più di 300 persone tra i 70 e i 90 anni, analizzando per oltre due settimane consecutive non solo il numero di relazioni, quindi di persone incontrate, ma anche la qualità di questi rapporti. I “controlli”, come deve avvenire in una valutazione clinica, sono stati ripetuti mediamente cinque volte al giorno: ogni persona coinvolta nella ricerca ha dovuto riferire quante altre persone fossero entrate in contatto con lei con grande attenzione agli incontri “de visu”, alle chiacchierate al telefono o anche, più semplicemente, allo scambio di messaggi via smartphone. Nel valutare il “valore” di questi rapporti individuali sono state anche considerate le tipologie di reazioni, ovvero se gli “appuntamenti” erano stati graditi o se invece si erano rivelati poco piacevoli. Attraverso speciali test cognitivi, da effettuare attraverso il telefonino tre volte al giorno per tutto il periodo dello studio, sono state verificate la velocità di elaborazione delle informazioni correlandola con il livello di attenzione, la memoria di lavoro insieme alla capacità di associare i concetti proposti. Risultato: l’amicizia giusta e il numero delle relazioni positive contano. Nelle giornate con il maggior numero di relazioni, anche in relazione al loro valore positivo, cioè con “veri” amici, si sono osservati i migliori risultati ai test cognitivi. Ma non basta: l’effetto di questi incontri positivi in termini emotivi (vanno bene anche i parenti, a patto che i rapporti siano buoni) tende a protrarsi nel tempo, fino ad almeno due giorni dopo l’avvenuta relazione di alto profilo amicale. E tende ad incrementarsi, come una sorta di “catena”, se l’abitudine al rapporto si mantiene. Insomma: non ci si deve isolare, soprattutto da anziani.

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