Problemi di insonnia: le cause e le conseguenze sull’organismo
Aprile dolce dormire. Questo famoso proverbio sottolinea come prendere sonno e riposare saporitamente può diventare davvero più difficile in questo periodo anche perché le giornate che si allungano rischiano di “desincronizzare” i ritmi del sonno, rendendo quasi impossibile un riposo normale. Sappiate, tuttavia, che la sindrome di primavera con le difficoltà a riposare bene in realtà, per molte persone, non va circoscritta solo a questo periodo. L’insonnia è un nemico della salute che può comparire a prescindere dall’ora legale e risente di moltissime condizioni, a partire da uno stato emotivo non proprio sereno, dall’ansia, dall’umore cupo.
Le tante possibili cause dell’insonnia
Le principali cause dell’insonnia includono uno stato emotivo non sereno, ansia, umore cupo e altri disturbi psicologici. Tuttavia, ci sono molte altre condizioni che possono contribuire all’insonnia, come ad esempio la presenza di malattie fisiche o problemi di salute, l’uso di determinati farmaci, disturbi del sonno, cambiamenti del ciclo sonno-veglia, cattive abitudini, ambiente non favorevole per il sonno, consumo di caffeina o alcol e stress. Inoltre, la mancanza di esercizio fisico e una dieta poco equilibrata possono anche influire sulla qualità del sonno e portare all’insonnia.
Come trattare l’insonnia
Se nelle forme occasionali, magari legate a malesseri temporanei per la presenza di un impegno gravoso o dopo una cena particolarmente impegnativa per la digestione, i farmaci di automedicazione di origine vegetale ad azione blandamente sedativa possono essere d’aiuto, nel caso in cui la situazione peggiori o diventi cronica occorre sempre fare riferimento al medico. Anche perché cuore, respirazione, memoria, psiche possono essere influenzati negativamente dalla scarsa quantità o qualità del sonno, anche e soprattutto in questo periodo, quando gli insonni possono assistere a un peggioramento della loro situazione.
Le conseguenze dell’insonnia sul sistema nervoso
Vi sentite irritabili, avete improvvisi cali d’attenzione al lavoro e a scuola? Forse dormite troppo poco, o comunque male. Il riposo consente di recuperare energie non solo al corpo ma anche, in senso lato, al cervello. Un buon sonno per essere tale deve comprendere i cicli del sonno profondo ovvero quelli con le cosiddette onde “lente”.
Se il sonno è scarso o di scarsa qualità, i neuroni non riescono ad avere una sufficiente “ripresa” durante la notte e questo contribuisce a spiegare la comparsa dei problemi diurni come le difficoltà di concentrazione che diventano tanto più evidenti quando, in caso di insonnia, col tempo si genera un notevole deficit di sonno. Inoltre, quando non si dorme abbastanza, si potrebbero notare difficoltà nella capacità di ricordare perché la carenza di sonno incide anche sulla memoria.
Numerosi studi hanno evidenziato che il sonno facilita i processi di apprendimento e di consolidamento della memoria. Infatti, i ricordi sembrano fissarsi meglio proprio quando dormiamo in quanto durante il sonno a onde lente i neuroni stimolati in veglia nel corso di un processo di apprendimento sembrano riattivarsi e rinforzare i loro collegamenti, favorendo i processi di memorizzazione. In pratica, il sonno agirebbe come “rivitalizzante” dei neuroni, aiutandoli a “fare pulizia” ed eliminare i collegamenti inutili che durante il giorno si creano tra le cellule nervose.
Il rapporto tra il peso corporeo e il dormire male
Esiste uno stretto rapporto tra metabolismo, regolazione del peso corporeo e insonnia. Diversi studi hanno mostrato che i soggetti che dormono di meno hanno una possibilità più alta di divenire obesi e, d’altra parte, i soggetti obesi – indipendentemente dalla presenza di apnee notturne – si lamentano più frequentemente di sonnolenza diurna. Come mai? La carenza di sonno può determinare alterazioni nella secrezione di ormoni che regolano il senso dell’appetito e la spesa energetica. In particolare, la deprivazione di sonno determina una ridotta secrezione della leptina, ormone che favorisce la riduzione del senso dell’appetito e, al contempo, facilita il consumo calorico. Inoltre, la produzione di grelina, ormone che stimola l’appetito, appare, a sua volta, aumentata dopo la deprivazione di sonno. Risultato: si tende a mangiare di più e magari si scelgono anche cibi “consolatori” ricchi di calorie.
Secondo alcuni studi, poi, la carenza di sonno porta anche ad alterazioni del metabolismo che possono facilitare l’insorgenza di diabete. Attenzione va prestata in particolare ai giovani: stando a quanto apparso sulla rivista Pediatrics, tra i giovanissimi che dormono meno di otto ore e mezzo per notte si riscontra un tasso di obesità del 23,5 per cento, che cala al 12 per cento tra quanti hanno una media di sonno di oltre nove ore e 25 minuti. E per gli adulti? Il Nurses Health Study, che ha arruolato nel 1986 circa 60.000 donne sane, non obese, di età compresa tra 39 e 65 anni, dimostra che dopo dodici anni di osservazione le donne che riferivano di dormire cinque ore a notte erano aumentate in media di 2,47 chilogrammi in più rispetto a quelle che riferivano di dormire mediamente 7 ore per notte. Non solo: il rischio di obesità saliva nelle donne che dormivano meno di 7 ore per notte, indipendentemente dall’alimentazione, dal consumo di alcolici e dall’attività fisica. Nei maschi si sono comunque osservati gli trend similari, se non peggiori, rispetto al peso corporeo in base alle ore di sonno dichiarate.
L’insonnia rende più esposti alle malattie infettive
Quando siamo colpiti da un’influenza rimaniamo molto più volentieri a letto dormire. Questo è solo un esempio di un meccanismo naturale che si instaura quando il nostro corpo viene attaccato da agenti patogeni come i virus: la reazione appare legata probabilmente all’azione di alcune citochine (sostanze prodotte dal sistema immunitario in risposta all’infezione) che favorirebbero il sonno. Il sonno, insomma, è importante per la normale attività del sistema immunitario e per rendere, quando necessario, più efficace il meccanismo di difesa contro l’infiammazione. In tal senso, le alterazioni del riposo sarebbero, quindi, un sistema efficace dell’organismo per dare il via alla febbre e alle altre risposte che consentono di combattere adeguatamente i virus, fino ad eliminarli. Lo stretto rapporto tra sonno e infiammazione trova un’ulteriore conferma in una ricerca condotta alla Case Western Reserve University, che dimostra come chi si sposta troppo in difetto o in eccesso dalle classiche 7-8 ore canoniche di riposo notturno, infatti, vedrebbe aumentare nel proprio sangue i valori delle citochine, veri e propri “motori” dell’infiammazione. In chi dormiva troppo, più o meno un’ora in più rispetto a quanto percepito, si è registrata infatti una crescita pari all’8 per cento di proteina C-reattiva, indice dell’infiammazione. Per sessanta minuti di riposo in meno rispetto al dichiarato, sale dell’8 per cento il valore di TNF (Tumor Necrosis Factor) – alfa, altro elemento che entra in gioco nel facilitare l’infiammazione.
Le apnee respiratorie e l’insonnia
Non conta solamente la quantità del sonno, ma anche la sua qualità. Per circa 2-6 persone su cento, purtroppo, il riposo notturno è disturbato da russamento e da pause nella respirazione, le cosiddette apnee. Questa situazione viene definita Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno (Obstructive Sleep Apnea Syndrome – OSAS) e porta ad avere scarsità nell’apporto di ossigeno all’organismo durante la notte. La persona che ne soffre, oltre a svegliarsi spesso, va incontro a risvegli con sensazione di soffocamento, sonno “frammentato” e non ristoratore, per cui il giorno dopo la sonnolenza è padrona. Questo capita perché il russatore affetto da apnee notturne non raggiunge mai il sonno profondo e quindi ha una tipica sonnolenza diurna che può avere gravi ripercussioni sulle sue normali attività. Il problema interessa soprattutto i maschi mentre le donne ne sono colpite soprattutto dopo la menopausa. Chi presenta tante di queste carenze di ossigeno corre, inoltre, maggior rischi di andare incontro a problemi cardiovascolari, primo tra tutti l’ipertensione.
L’insonnia: un problema non esclusivamente notturno
L’insonnia va considerata come una condizione patologica che interessa l’intera giornata e non solo la notte. L’insonnia, infatti, si manifesta in molti modi: alcuni individui lamentano difficoltà a prendere sonno, altri si addormentano subito ma si svegliano dopo quattro ore e non riescono più ad addormentarsi o rimangono in uno stato di dormiveglia senza alcun beneficio sul riposo, poi ci sono quelli che prendono sonno ma si svegliano spesso, si riaddormentano e si svegliano ancora. Infine, ci sono i soggetti geneticamente mattutini e quelli che si svegliano geneticamente molto tardi. Per ognuno occorre trovare la soluzione ottimale in termini di approccio, anche per evitare problemi che nel tempo possono interessare l’intero organismo. Bisogna insomma prestare attenzione al proprio cronotipo.
Chi rischia di più l’insonnia
Per quanto la ricerca proceda, il puzzle dell’insonnia non è ancora completamente risolto. Possono sicuramente incidere fattori di ordine diverso: genetici (sono stati individuati specifici geni associati allo sviluppo di insonnia), fisiologici (elevato livello di attivazione del sistema nervoso autonomo) e di personalità (tendenza al perfezionismo, stile cognitivo improntato alle ruminazioni). Inoltre, contano poi altri due elementi: il genere (per la donna i rischi sono maggiori rispetto all’uomo) e l’età avanzata: si sa che negli anziani si rischia di più di andare incontro a difficoltà di addormentamento e mantenimento del sonno notturno.
Perché è importante andare a dormire alla stessa ora
L’essere umano ha un ritmo del sonno sincronizzato sulle 24 ore in base all’alternarsi tra luce e buio. Nella “gestione” del ritmo del sonno è fondamentalmente un piccolo gruppo di neuroni che riceve gli stimoli della luce e del buio attraverso una particolare via nervosa che parte dalla retina, la zona dell’occhio capace di ricevere le sensazioni luminose e trasformarle in segnali nervosi, e arriva all’ipotalamo. A questo meccanismo si aggiunge l’attività della melatonina, un ormone prodotto dall’ipofisi durante la notte che, agendo su alcuni neuroni, regola l’alternanza del sonno e della veglia. La luce, quindi o la sua mancanza è quindi molto importante e questo spiega come mai un aumento della luce, come per esempio in caso di fuso orario, può influire sul normale ritmo del sonno. Anche la temperatura ha un ruolo importante. La curva di propensione al sonno appare infatti in stretta correlazione con la temperatura interna dell’organismo. Per cui tendiamo ad addormentarci quando il valore termico del corpo è ai minimi delle 24 ore, mentre ci svegliamo quando sale. Questi momenti vengono chiamati “porte” del sonno e vanno sfruttati al meglio per appisolarsi. Anche per questo motivo, infatti, tendiamo ad addormentarci sempre intorno alla stessa ora e, se alteriamo i ritmi, il riposo diventa più difficile. Mediamente, il desiderio di dormire sale tra le ventidue e le tre del mattino, cala drasticamente durante la mattinata per riaccendersi nelle prime ore del pomeriggio. C’è poi una zona “preclusa” al sonno, che si concentra tre la diciassette e le ventuno. La temperatura corporea segue questo tipo di tendenza, abbassandosi in mattinata e verso il tardo pomeriggio per salire, con variazioni che raggiungono anche il grado tra il tardo pomeriggio e la notte profonda.
Certamente, prevenire e curare problemi occasionali di insonnia passa quindi anche dalle buone e regolari abitudini e da una serie di accortezze che possono quindi facilitare un buon riposo.
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