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Il mistero del dolore

Tempo di lettura: 6 minuti
Il mistero del dolore

Ci fa soffrire, ma normalmente è un segnalatore affidabile che qualcosa non funziona. Ed anche se ci disturba, va interpretato come un segnale d’allarme che il corpo invia. Strano davvero il dolore: un meccanismo di difesa che ci rovina le giornate.

Ovviamente quando si parla di dolore occorre prima di tutto fare una distinzione precisa. I dolori non sono tutti uguali per durata, intensità, localizzazioni e meccanismi che li determinano. Per questo è importante saper riconoscere il dolore acuto, quello che si può affrontare in modo più semplice anche con i farmaci di automedicazione, come è nel caso del classico mal di schiena da cattiva posizione o da sforzo, delle conseguenze di un leggero trauma, del mal di testa che compare quando si è molto nervosi e stressati, dei fastidi che accompagnano il ciclo mestruale nelle donne. Del tutto diverso è invece il dolore cronico, quello che a volte può diventare addirittura una vera e propria patologia indipendente da quella che lo ha determinato, come avviene ad esempio quando una persona è colpita da un tumore. Ciò che conta, in tutti i casi, è saper riconoscere il proprio dolore per affrontarlo con l’automedicazione o, quando è necessario, con l’aiuto del medico.

Acuto o cronico?

Nell’esperienza del medico il dolore rappresenta una tra le manifestazioni più importanti di un disturbo o di una malattia; inoltre, fra i sintomi, è quello che tende a minare maggiormente la qualità di vita. Per imparare ad affrontare correttamente il dolore, è opportuno saper distinguere le varie forme di dolore. In generale, il dolore si distingue in due diverse categorie: acuto e cronico.

  • Il dolore acuto è il primo segnale che il nostro organismo ci trasmette a seguito di un evento scatenante: un movimento innaturale del nostro corpo, un piccolo trauma, un’emicrania o il mantenimento della stessa scorretta posizione in ufficio, etc.
  • Il dolore diventa cronico quando persiste oltre la guarigione della malattia che lo ha chiaramente provocato e/o per un periodo maggiore di tre mesi. Tuttavia è importante ricordare che questa suddivisione non è netta poiché, spesso, anche in Medicina Generale il dolore persiste perché non ne è stata individuata la causa netta.

La soglia del dolore

“Come ti lamenti!”. Quante volte abbiamo sentito questa frase da amici e familiari, magari perché siamo fortemente sensibili anche ad un semplice pizzicotto e di fianco a noi ci sono persone che sopportano senza lamentarsi troppo, anche crisi di cefalea. Se è vero che il dolore è per tutti un segnale che il corpo invia, è anche innegabile che esiste una sensibilità individuale al dolore diversa da una persona all’altra. A fare la differenza è la cosiddetta soglia del dolore soggettiva, che può variare nel tempo anche nella medesima persona. Solamente bisogna ricordare che quanto più questa è bassa tanto maggiore è la possibilità che uno stimolo esterno provochi dolore.

Questo fenomeno, in realtà, non sembra legato ad aspetti fisici o razziali, ma piuttosto alla condizione che la persona vive. Uno studio ormai datato dimostra infatti che sottoponendo soggetti di razze diverse ad uno stimolo termico con lampade speciali, quando la temperatura raggiungeva i 45 gradi tutti provavano dolore. Il problema è che, a parte le differenze personali è una situazione che si vive che in qualche modo influisce sulla nostra percezione del dolore. In chi è depresso il dolore diventa meno sopportabile: quando invece si sta vivendo una situazione di stress fisico o emotivo il dolore diventa meno significativo: ci sono stati casi di persone colpite da un proiettile che fuggendo dal pericolo non provavano quasi dolore, per poi perdere conoscenza una volta eliminati i rischi. Quando ci troviamo in momenti di stress intenso, a patto ovviamente che non diventi cronico, il cervello produce composti come le endorfine, che agiscono più o meno come la morfina, e provvedono ad “anestetizzare” autonomamente il corpo.

Come nasce il dolore

 Non tutti i dolori acuti sono uguali, e quindi anche i  rimedi farmacologici utili per affrontarli non sono tutti uguali. Nel corpo umano esistono milioni di “recettori” per il dolore, che in termine scientifico vengono chiamati nocicettori. Sono terminazioni nervose specializzate a percepire una determinata sensazione, che non è la medesima per tutto l’organismo, anche perché gli elementi che possono determinare la sensazione stessa sono diversi: non è insomma la stessa cosa quando ci si scotta e quando invece lo stomaco brucia o magari si ha un furioso cerchio alla testa. Il sistema di riconoscimento e “percezione” del dolore varia in base alla zona in cui nasce il dolore. Per la pelle, ad esempio, lo stimolo doloroso può crearsi spesso quando l’epidermide (lo strato superficiale della cute) viene sottoposta ad una temperatura eccessivamente elevata, insomma la classica scottatura. In questo caso vengono chiamati in causa particolari rilevatori chiamati termonocicettori capaci di individuare immediatamente l’incremento termico. Ma quando ci schiacciamo un dito nella portiera dell’auto altri recettori specializzati entrano in azione. Non solo segnalando il dolore, ma dando il via alla liberazione di sostanze chimiche come le prostaglandine o altri “mediatori” del dolore, capaci di stimolare i recettori nervosi. Queste sostanze sono le stesse che vengono liberate quando arriva un forte mal di testa oppure si è nel bel mezzo della sindrome premestruale.

Quando il male viene dall’interno

 Se per la pelle “capire” e trasmettere la sensazione dolorosa al cervello  è relativamente semplice, altre parti del corpo sono meno “pronte” a informare il sistema nervoso centrale. I nocicettori infatti non sono distribuiti allo stesso modo in tutto l’organismo, ma si concentrano in certe aree. Ne sono ricchi ad esempio le ossa, le articolazioni, i tendini, le meningi e la pelle, che raccolgono quasi quattro quinti del totale. Forse non lo sapevate, ma è anche per questo che l’artrosi può mettere ko una persona o la meningite può indurre un “blocco” alla base del collo, oltre ad una cefalea fortissima. Lo stomaco invece è relativamente povero di recettori per il dolore. Per questo ci sono persone che si accorgono di avere una forte gastrite solo quando fanno per caso un esame di controllo: i recettori per il dolore sono numericamente inferiori rispetto a quelli che si trovano ad esempio nei tendini, quindi una lesione minima di questi fasci può risultare difficile da sopportare, mentre un’ulcera si può anche affrontare senza particolari problemi. Il dolore viscerale, inoltre, ha un’altra caratteristica: oltre ad essere meno intenso infatti è anche meno “preciso”, perché i recettori non riescono a circoscrivere con cura l’area in cui nasce. Per questo abbiamo sensazioni curiose alla pancia, come senso di peso o fastidio, quando invece da altre parti avremmo un vero e proprio dolore.

Questione di velocità

 Il solo numero dei recettori dolorosi, in ogni caso, non riesce a spiegare perché il dolore a volte ci inganni. A fare la differenza, infatti, è anche la trasmissione della sensazione dolorosa. Se ci bruciamo o prendiamo la classica “botta” la reazione deve essere immediata, come se suonasse un allarme, mentre in altri casi, come quando l’intestino è particolarmente “gonfio” l’obiettivo dell’organismo è ricordare che tutto non va per il meglio. Anche per questi motivi il corpo umano ha “strutturato” il proprio sistema di trasmissione del dolore in modo vario. Le fibre nervose che trasportano il segnale del dolore sono infatti di tipo diverso: alcune sono ricoperte di mielina, una sorta di “conduttore” che facilità il passaggio dei segnali nervosi, altre no. La sensazione di una puntura, ad esempio, è trasmessa con discreta rapidità dalle fibre che sono ricoperte da mielina, mentre i dolori più profondi, come i crampi o i bruciori di stomaco, arrivano più lentamente. In questo secondo caso, le fibre nervose possono essere particolarmente lente e viaggiare solo a mezzo metro al secondo. Quando invece arriva un fastidio immediato, si arriva anche ad una velocità di 30-60 metri al secondo.

Come comportarsi

 In caso di una causa scatenante netta e chiara – la presenza del ciclo mestruale, una piccola contusione, un arrossamento degli occhi, un’indigestione o un mal di testa – il dolore acuto può essere controllato in autonomia, tramite la corretta assunzione di farmaci di automedicazione o da banco, acquistabili senza obbligo di prescrizione e riconoscibili grazie al bollino rosso che sorride, presente sulla confezione, dove è indicato chiaramente che quello che si sta acquistando è un farmaco senza obbligo di ricetta. Questi medicinali, con meccanismi d’azione diversi in base all’origine del dolore, sono disponibili senza ricetta medica perché nel loro impiego diffuso e di lungo corso si sono dimostrati sicuri, efficaci ed hanno ricevuto un’apposita autorizzazione da parte dell’Autorità sanitaria. 

In presenza di dolore cronico o comunque di mutazioni sensibili rispetto al tipo di dolore cui si può essere abituati (sia in termini di intensità che di localizzazione) è opportuno consultare il proprio medico di fiducia, il quale sarà in grado di individuare la giusta diagnosi e, di conseguenza, prescrivere il trattamento più efficace. Lo ricorda Pierangelo Lora Aprile, Responsabile Area Dolore della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) “Per arginare in maniera efficace questo fenomeno complesso, in presenza di sintomi derivanti da semplici disturbi è opportuno educare la popolazione a una gestione autonoma del dolore, tramite una terapia che preveda l’assunzione responsabile di farmaci da banco – spiega l’esperto. In caso di dolori caratterizzati da un’intensità più forte che non si risolvono a breve e non sono strettamente correlati a eventi acuti e/o traumatici, è opportuno consultare un medico per una diagnosi più puntuale e l’inizio di un trattamento specifico”.