Stress e Covid-19… un anno dopo: parola al Professor Piero Barbanti
Stress e Covid-19: ormai, a oltre due anni dall’inizio della pandemia abbiamo ripreso il tema con il Professor Piero Barbanti, docente di Neurologia presso l’Università IRCSS San Raffaele di Roma per comprendere quali sono stati in questo periodo le principali fonti di stress, quale è stato il suo impatto sulla salute, come la convivenza con il virus SARS-CoV 2 ha modificato i nostri stili di vita e quanto anche i ragazzi e i bambini siano stati impattati e condizionati dalla situazione pandemica.
Le domande
- Buongiorno, Professore. Partiamo dalle basi: cosa è lo stress? Come si manifesta e da cosa può essere provocato?
- Tensione e stress vengono considerati come condizioni (stimoli) in grado di aiutarci a essere più attivi, agili ed efficienti in certe situazioni. È vero? Può esserci uno stress buono e uno cattivo?
- Quando si è “stressati” secondo l’accezione comune, quali sono i segnali e i sintomi che il nostro corpo manifesta?
- Potenzialmente ogni momento della nostra vita può essere fonte di stress: dal lavoro, alla casa, alla vita sociale. In particolare, pensiamo alla diffusione del SARS-CoV-2, e quanto la situazione eccezionale vissuta da tutti noi abbia impattato a livello psicologico e fisico. Secondo la Sua esperienza, che effetti ha avuto la pandemia (dalle misure di contenimento del contagio agli stili di vita) nei livelli di stress degli italiani? È possibile parlare di “stress da Covid-19”?
- Parliamo degli adulti. Negli ultimi anni, ancor prima della pandemia, la parola “stress” è stata molto spesso accompagnata in contesti lavorativi dalla parola inglese “burnout”, definito come uno stress cronico, un vero e proprio esaurimento mentale e fisico grave, tanto da indurre l’OMS a stabilire delle direttive per la diagnosi. Nella sua esperienza, il Covid-19 ha aumentato l’incidenza del fenomeno? Come riconoscere i campanelli d’allarme di uno stress troppo prolungato o di burnout?
- Lo stress è qualcosa che riguarda anche il mondo dei più giovani (13-18) e i bambini (6-12)? In modo simile o diverso rispetto agli adulti?
- Partiamo proprio da questo punto: come ha inciso l’ultimo biennio sul manifestarsi di disturbi da stress nei più giovani? È cambiato qualcosa nelle manifestazioni di disagio?
- Cosa possiamo fare nella vita quotidiana per mantenere sotto controllo lo stress e prevenirlo – sia nei nostri confronti che in quelli dei più piccoli? Quali attività/alimentazione/abitudini consiglia? Al contrario, cosa evitare per impedire l’insorgenza di questi disturbi? Qualche specifico consiglio da dare ai genitori?
- Esistono farmaci di automedicazione utili nella gestione dei piccoli disturbi correlati allo stress?
Le risposte
- Lo stress è una reazione fisiologica che l’organismo attiva a propria difesa di fronte a ostacoli, pericoli o situazioni che ne modificano l’assetto. Se avviene in maniera legittima e controllata, consente di affrontare e superare i problemi creando una nuova situazione di equilibrio. Nella vita quotidiana, però, il termine stress ha una connotazione diversa e si riferisce a una condizione psicofisica sgradevole e logorante per la quale l’organismo è sempre in condizioni di allerta e fatica “a staccare l’interruttore”. Lo stress è processato dalla corteccia cerebrale prefrontale, deputata al giudizio e al problem solving. Dunque, siamo noi a giudicare se un evento sia stressante o meno. Ciò vuol dire che accanto a uno stress oggettivo (ad esempio, il pedone che vede sopraggiungere una auto ad alta velocità e che grazie alla violenta reazione da stress riesca a evitare il pericolo) esiste uno stress soggettivo, dipendente, invece, dal vissuto e dalla esperienza personale dell’individuo. Si pensi, ad esempio, a una delusione lavorativa che può lasciare indifferente una persona o provocare reazioni molto forti in un’altra. Il coinvolgimento della corteccia prefrontale ci fa capire che entro certi limiti noi possiamo psicologicamente lavorare per innalzare la nostra soglia allo stress, “coltivando” la resilienza.
- Abbiamo già parlato dello stress “buono”, quello che ci tira improvvisamente fuori dal pericolo. Il problema nasce quando la reazione di stress si presenta ripetutamente in un soggetto: in questo caso tende a cronicizzarsi, lasciando l’individuo in una condizione cronica di preallarme.
- In situazioni in cui il nostro cervello avverte il pericolo, il corpo si prepara di conseguenza all’attacco o alla fuga. Il grande mediatore dello stress è il sistema nervoso vegetativo, coordinato dall’ipotalamo, che è per metà cervello e per metà ghiandola. Dietro comando del sistema limbico, responsabile delle emozioni, l’ipotalamo impartisce ordini all’ipofisi, la quale, a sua volta, fa sentire la propria voce su ghiandole sessuali, tiroide e surreni. L’ipotalamo è anche il grande orchestratore dei due fronti contrapposti del sistema vegetativo: il bellicoso sistema nervoso simpatico e il sistema nervoso parasimpatico, pacifista per definizione. Nella condizione di stress, il sistema ipotalamo – ipofisi surrene è iper-attivato e dunque gli apparati iniziano a iper-funzionare: i muscoli si contraggono, il cuore accelera, l’apparato respiratorio aumenta la frequenza del respiro, quello gastrointestinale comincia a funzionare eccessivamente, e le pupille si dilatano. Lo stress provoca quindi una condizione di iperattività e di iper-sveglia, che si traducono in insonnia, stanchezza, irritabilità, ansia e tensione continua.
- Il primo lockdown è stato un esempio di stress positivo: la situazione emergenziale scoppiata improvvisamente ci ha fatto percepire il pericolo ed è stato proprio questo sentore di allarme a permetterci di sostenere due mesi di chiusura forzata e di riuscire a creare un nuovo equilibrio funzionale e utile senza rendercene conto e senza lamentarci.Quando poi l’entità del pericolo è scesa, lo spavento è diminuito ma è comparsa la valutazione soggettiva del possibile protrarsi a lungo termine delle limitazioni e dei rischi, è emerso invece uno stress negativo da Covid-19. Questo ha portato, da un lato, a ruminazione psicologica, sfiducia, allarme cronico dall’altro ha fatto emergere, in taluni soggetti, sentimenti di rabbia che hanno poi preso varie forme, puredi contestazione ideologica, anche per il protrarsi della mancanza di contatti interpersonali e per la ridotta socialità. Un’altra forma di stress emersa nell’ultime ondate è stata conseguente alla difficile gestione delle situazioni relative alla sfera privata e la limitazione della socialità anche in rapporto alle regole sui tamponi e vaccini. È innaturale per l’essere umano ridurre i contatti sociali e famigliari per preservare parenti fragili o anziani (verso i quali in condizioni normali vanno le nostre maggiori attenzioni e affettuosità), per non parlare della maggiore prudenza nei confronti di bambini e ragazzi. In sostanza, è emerso uno stress relativo alla necessità innaturale di erigere un muro di prudenza verso le persone che amiamo di più, per evitare di contagiarli ed esserne contagiati.
- Il burnout rappresenta l’esaurimento psicofisico del soggetto. È sicuramente aumentato nel periodo di pandemia perché, alle normali situazioni che lo determinano, si sono aggiunte modalità lavorative stressanti come il lavoro agile, il telelavoro e la mancanza delle relazioni umane tangibili, compresi quei momenti di pausa che accompagnano la normalità di una giornata di lavoro, come il caffè al bar con i colleghi. Sono aumentati, di conseguenza, i sintomi come l’insonnia, l’ansia e la depressione negli adulti che, in alcuni casi, per contrastare tali disturbi, si sono rifugiati nell’abuso di alcol o caffè.
- Seppur i ragazzi manifestino lo stress in occasioni e modalità differenti rispetto all’adulto, le loro reazioni includono irritabilità, impulsività, irrequietezza, nervosismo, disturbi del sonno e dell’alimentazione. Nei bambini, i sintomi da stress compaiono in genere in maniera più sfumata e possono rendersi evidenti nei cambiamenti nel rendimento scolastico o nelle difficoltà nel dormire. Va ben sottolineato, poi, che la mancanza di socialità durante la pandemia (DAD, abolizione delle pratiche sportive di gruppo per i non agonisti) ha influito profondamente nello sviluppo della personalità dei più piccoli e, di conseguenza, nell’incidenza di disturbi legati allo stress.
- La drammatica esperienza della pandemia ha portato con sé però qualche raro aspetto positivo, aiutandoci a prendere coscienza dei nostri limiti. In particolare, i ragazzi hanno in qualche modo appreso che esiste la frustrazione, la complessità, e non solo la soddisfazione del bisogno. L’elemento drammatico per i ragazzi è stato rinunciare alla scuola e alla vita comunitaria. La scuola è infatti sorgente di emozionalità condivisa e rappresenta un luogo dove imparare a sviluppare i propri sentimenti, a conoscere gli altri e ad affrontare il mondo esterno, condividendo la conoscenza e le emozioni con gli altri.
- Nello specifico, per i ragazzi, è necessario ritornare alle vecchie regole: nutrirsi bene, dormire adeguatamente, giocare, e frequentare la scuola. Credo sia necessario far riprendere ai ragazzi quella creatività che è mancata durante l’ultimo periodo. È auspicabile che a breve i ragazzi possano ritornare ai tradizionali ritmi scolastici, abbandonando quelle regole (necessarie per le diverse ondate della pandemia) che hanno imposto una ulteriore forzatura dei loro ritmi biologici, con ingressi sfalsati e ritorno a casa talora dopo le 15.
- Anzitutto, è fondamentale saper riconoscere i sintomi riferiti allo stress e ammettere di soffrirne. Dobbiamo imparare che sintomi in apparenza vaghi, come la riduzione della qualità del sonno, la tensione nervosa, la cefalea, la ridotta efficienza cognitiva, i dolori muscolari e alcuni disturbi dell’apparato digerente, respiratorio e cardiovascolare, possono essere sintomi da stress.
- Un secondo consiglio è quello di cavalcare i bioritmi, ovvero rispettare sonno e alimentazione per quanto riguarda qualità, quantità e orario, evitando così il cosiddetto social jet-lag(fuso orario sociale), caratterizzato dallo sfalsamento, per via delle incombenze lavorative o sociali, del ritmo sonno-veglia e alimentare rispetto alle esigenze fisiologiche.
- Anche il sonno ha un ruolo fondamentale per contrastare lo stress: per i ragazzi e i giovani, soprattutto, è necessario dormire almeno 9 ore, così che il cervello possa effettuare durante la notte la sua “manutenzione”, ovvero sistemare le sinapsi, consolidare i ricordi, e creare l’immaginazione.
- Adottare una dieta mediterranea a basso indice glicemico può essere la giusta soluzione per ridurre la cosiddetta infiammazione di basso grado e contrastare un disturbo da stress. Inoltre, è necessario regolamentare l’utilizzo di sostanze psico-attive socialmente accettabili, come alcol e caffè.
- Creare pause, rallentare il nostro ritmo, lasciare spazio a creatività e a immaginazione, consentendo al cervello di far emergere le sue potenzialità di resilienza.
- Lo stress si può curare anzitutto conoscendolo, poi facendo un atto di buona volontà e modificando, di conseguenza, lo stile di vita, e approcciando l’automedicazione. I sintomi neuropsichici dello stress possono beneficiare dell’utilizzo di melatonina, valeriana, magnesio e altri farmaci da banco, così può essere utile il ricorso agli analgesici di automedicazione per la cefalea di tipo tensivo. I farmaci ad azione antiacida possono servire poi per contrastare i sintomi legati ai disturbi gastrointestinali di tipo funzionale, così come i farmaci ad azione antidiarroica o i probiotici possono rivelarsi preziosi alleati per combattere la diarrea su base emotiva. Gli antinfiammatori possono essere utili anche a contrastare la sensazione di tensione muscolare, uno dei disturbi prevalenti per chi soffre di stress. Da non dimenticare l’utilità di polivitaminici e poliminerali per l’apporto, ad esempio, del complesso vitaminico B, della vitamina D e del magnesio, essenziali per lo svolgimento fisiologico dell’attività nervosa.
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