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Pesce crudo: i pro, i contro e i rischi di intossicazione

Pesce crudo: i pro, i contro e i rischi di intossicazione

Ci sono studi che segnalano come il sushi, e più in generale l’alimentazione del Sol Levante, possa risultare in grado di aiutarci a mantenere il benessere. Come? Grazie alla disponibilità di acidi grassi “buoni” e di proteine del pesce, oltre che alle fibre e alle componenti delle alghe. 

Ma c’è anche chi teme il pesce crudo, magari per una brutta esperienza precedente, visto che ci sono persone in cui pesci e molluschi senza cottura hanno dato spazio a malesseri vari, dal classico mal di pancia fino a nausea o diarrea. In questi casi, ovviamente, ci sono fenomeni che possono essere legati sia alla produzione di tossine da parte del pesce non correttamente conservato sia a vere e proprie reazioni di tipo allergico, che magari si manifestano con chiazze arrossate sulla pelle e prurito alla lingua.

I farmaci di automedicazione possono essere di grande aiuto per contrastare i sintomi, sia sul fronte die problemi gastrointestinali sia per contenere un’eventuale reazione allergica. Ma è fondamentale conoscere i rischi legati al pesce crudo. Per fare in modo che sushi o sashimi siano solo una bella esperienza alimentare. 

I rischi del pesce crudo

Un forte prurito alla bocca e al palato, magari accompagnato da mal di pancia. Sono quasi sempre questi i primi sintomi degli allergici al sushi e al sashimi, che possono vedere i sintomi comparire anche dopo assunzione di pesci, come il tonno o lo sgombro, che possono dare adito a reazioni di questo tipo. Mangiare pesce crudo, per non dimenticare i crostacei come i gamberi oppure i molluschi, può diventare un problema per la salute, specie se si è allergici agli acari della polvere, condizione che si presenta più o meno in una persona su dieci. Il problema, pur se si prestano tutte le attenzioni alla conservazione del pesce, è legato alle “reattività crociate”. Esiste infatti una particolare proteina tipica dell’acaro che si ritrova anche nei crostacei, nei molluschi e anche nell’anisakis, il parassita che si può trovare all’interno di acciughe ed altri pesci. Per questo si può verificare una reazione crociata che crea particolare ansia: il rischio è maggiore se gamberi e simili vengono consumati crudi, perché la cottura riduce, ma non del tutto, la presenza della proteina allergizzante. 

Certo è che, seppur non troppo frequente, l’allergia al pesce non è da sottovalutare poiché potrebbe essere potenzialmente grave. Un tempo ci si era concentrati su una particolare proteina del merluzzo presente in molti altri pesci come il salmone e il nasello mentre poi col tempo si è visto che ci sono persone allergiche anche ad un solo tipo di pesce. Nei soggetti predisposti, quando la reattività è molto elevata, si possono osservare addirittura sintomi in seguito a inalazione, ad esempio dei fumi di una frittura, e non solo dopo l’ingestione del pesce sotto accusa. 

Batteri e parassiti del pesce crudo

C’è comunque un altro motivo che dovrebbe spingere ad una certa attenzione nel consumo di pesce crudo se non si è certi della provenienza degli animali, pur se basta rifornirsi da proprio pescivendolo di fiducia per avere una certa tranquillità, e cioè il rischio di infestazione dal parassita anisakis. Per proteggersi occorre eviscerare immediatamente il pesce dopo la cattura, perché il parassita tende a spostarsi dall’apparato digerente alle carni e poi diffondersi.

Intossicazione da aniskakis: i sintomi

Se si mangiano carni infestate – il rischio è presente anche in caso di pesce in salamoia perché solo la cottura ad almeno 60 gradi distrugge l’anisakis e le sue larve – si possono rischiare problemi come forti dolori all’addome, nausea e vomito. Per non correre rischi, anche se può sembrare strano, conviene puntare sul grande freddo. Vale a dire che, se si vuole gustare buon carpaccio di pesce fresco o un indimenticabile sushi bisognerebbe acquistare il pesce freschissimo, pulirlo quanto prima e congelarlo per almeno 4-5 giorni a una temperatura di almeno -18 gradi. Il congelamento rapido dopo la cattura è importante anche per evitare il classico avvelenamento da tonni e sgombri freschi, le cui carni possono andare incontro a una rapida “invasione” da parte di germi che poi si trasmettono all’uomo. L’assunzione di pesce “rimasto” al caldo porta a forti dolori di stomaco e alla comparsa di macchie sulla pelle, legate alla liberazione di istamina, sostanza che facilita l’infiammazione. La cura prevede l’assunzione di molti liquidi ed eventualmente di farmaci ad azione antiallergica e antistaminica.

La sindrome sgombroide: cause e sintomi

Anche se si pensa subito agli sgombri visto il nome del quadro, questa forma di intossicazione da alimenti è legata, in termini generali, al consumo di pesce che contiene elevati livelli di istamina. In genere si tratta di pesci come tonni, sardine, acciughe, aringhe e appunto sgombri, da cui il nome. L’istamina non si trova quando il pesce viene pescato ma si forma, invece, all’interno delle sue carni attraverso una reazione che si chiama decarbossilazione dell’aminoacido istidina. Questa reazione tecnicamente viene resa possibile da un enzima (istidina decarbossilasi) che si trova in alcune specie batteriche che si trovano nell’ intestino o nella pelle del pesce. Il deterioramento batterico e la produzione di istamina possono avvenire in ogni fase della filiera alimentare. Per questo è fondamentale, in termini di prevenzione, il mantenimento costante delle carni a temperatura inferiore a 4 gradi. Essendo l’istamina termostabile, né la cottura né la sterilizzazione decontaminano un pesce ma, almeno, dopo la cottura, il livello di istamina non può aumentare essendo stati inattivati enzima e batteri.

Come si manifesta il quadro? A volte, anche solo un minuto dopo l’assunzione del cibo a rischio, in altri casi possono passare anche ore dall’ingestione del prodotto contenente istamina. Sul fronte dei disturbi si possono manifestare macchie sulla pelle, soprattutto localizzate a viso e collo, orticaria, arrossamento delle congiuntive, prurito. In altre circostanze si possono avere, associati o meno, disturbi meno specifici come mal di pancia, nausea, bocca gonfia, diarrea, vertigini con cali della pressione, addirittura mal di testa con formicolii e disturbi di vista. Si tratta solo di esempi ovviamente. Anche sul fronte del trattamento occorre sempre verificare il quadro e deve essere il medico a farlo. In chiave preventiva, un’ultima raccomandazione: occorre ricordare sempre che il raffreddamento rapido del pesce immediatamente dopo la pesca è la chiave per prevenire la sua contaminazione.

Le precauzioni da prendere: impariamo a riconoscere il pesce fresco

La durata e temperatura della conservazione sono i due fattori “chiave” per poter individuare il pesce migliore. Il pesce quando conservato a temperatura ambiente si danneggia in breve tempo: più o meno due giorni dopo il decesso dell’animale alla temperatura di questo periodo è difficile mangiarlo. Sempre in termini generali la conservazione efficace arriva ad una settimana circa quando il pesce viene mantenuto ad una temperatura di 0 gradi, e ovviamente può durare molto più a lungo se congelato. La sensibilità del pesce alla temperatura è legata alla natura stessa della sua composizione, che, pur variando tra le varie specie anche in relazione all’ambiente acquatico, prevede comunque la presenza di colonie di batteri localizzate soprattutto sulla parete esterna dell’animale e nel suo intestino. La proliferazione di questi batteri è rapidissima dopo la morte dell’animale e per questo se non viene arrestata dalle basse temperature può condurre ad un altrettanto repentino deterioramento delle carni. Per questi motivi nel momento in cui si sceglie di acquistare un pesce occorre innanzitutto informarsi sulla sua conservazione, oltre che sul tempo trascorso dalla pesca al momento dell’acquisto e del successivo consumo. E magari è utile anche l’eviscerazione dell’animale, visto che proprio nel tubo digerente si concentrano grandi quantità di germi che possono riprodursi. Un altro elemento deve essere tenuto presente. La contaminazione batterica di un pesce può essere svelata attraverso un’attenta valutazione dell’odore che l’animale emana. Quando si avverte anche un leggero odore di ammoniaca è segno che i germi si sono sviluppati in quantità elevate e, ovviamente, l’alimento non va consumato.