Sonno: i problemi di chi dorme male e i rimedi per riposare bene
Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Sonno. Ed è l’occasione per riparlare di quanto è importante riposare bene, in termini di quantità e qualità, soprattutto in questo periodo. Perché la stagione è a rischio. Le giornate che si allungano, l’entrata in vigore dell’ora legale prevista a fine mese, le allergie che cominciano a disturbare il riposo, sono elementi che, insieme ad altri elementi concomitanti come lo stress o cattive abitudini, possono influire sulle nostre possibilità di dormire bene. Ciò che conta è che sia i “gufi”, cioè quelli pronti ad andare sotto le coperte a tarda notte, sia le “allodole”, cioè quelli che si risvegliano alle prime luci dell’alba, abbiano a cuore un buon riposo come uno degli elementi fondamentali di un corretto stile di vita.
4, 6, 7 ore… quanto bisogna dormire? Dipende dal tuo cronotipo!
Di fronte al sonno, non siamo tutti uguali. Ci sono persone che hanno bisogno di dormire molto e altre che, invece, si sentono riposate con un sonno di buona qualità di qualche ora. Ci sono persone che proprio nelle ore serali raggiungono il meglio delle prestazioni, quando altre, invece, vorrebbero cadere tra le braccia di Morfeo. Dipende dal cronotipo. Quando parliamo di cronotipi ci riferiamo al normotipo tipico dell’animale circadiano diurno che presenta le migliori performance durante il giorno e l’aumento del bisogno di sonno nelle ore notturne. Ai due estremi ci sono due tipologie cronobiologiche: rispettivamente con fase avanzata o ritardata, chiamati “mattutini” o “serotini” o nel linguaggio popolare, allodole e gufi. Essi hanno tutta una serie di correlati biologici che vanno a caratterizzare il fatto che i mattutini funzionano meglio nelle prime ore del giorno, mentre i serotini funzionano meglio nelle ore serali. Si ha poi un’altra distinzione in funzione della durata media del sonno, ossia i normo-dormitori che hanno bisogno di una durata del sonno media di 7 ore e mezza, poi ci sono i brevi e i lunghi dormitori, che rispettivamente hanno bisogno per tendenza biologica di meno di 6 ore e di oltre 9 ore per trarre un ristoro completo dal sonno. E ricordiamo che la genetica conta, nel determinare il bisogno di sonno del singolo.
Cerchiamo di dormire almeno 7 ore
In termini generali, riferendoci appunto a quello che si ritiene genericamente normale, si può dire che se non si raggiungono le sette ore di sonno o almeno non ci avvicina a questa soglia, la salute, alla lunga, ne risente. E non solo perché ci si è più stanchi e irritabili durante la giornata ma anche perché la carenza e la scarsa qualità del sonno (ad esempio perché ci si risveglia più volte durante la notte) mettono in pericolo l’intero organismo, compresi i cosiddetti organi “nobili” come cuore e cervello.
Disturbi del sonno: chi rischia di più?
Secondo dati recenti a segnalare la difficoltà di riposare normalmente, sia in termini di quantità che di qualità del sonno (spesso sono presenti risvegli notturni e difficoltà a riaddormentarsi) sarebbe il 30-40% degli adulti. Nelle donne, più esposte globalmente a questa problematica, i momenti di rischio di concentrano nel periodo della menopausa e dopo i 65 anni. Negli uomini, invece, il primo picco di rischio di comparsa del fenomeno si ha in età giovanile, tra i 24 e i 34 anni, e il secondo dopo i 65 anni. Un soddisfacente riposo notturno diventa più spesso difficile nei single e nei divorziati, oltre ovviamente in chi è esposto a stress intensi e prolungati nel tempo. Negli anziani, poi, oltre alla quantità ridotta del sonno, che magari si compensa con “appisolamenti” ripetuti durante il giorno, incide anche la modificazione della naturale architettura del riposo notturno. Con l’avanzare dell’età, si assiste, generalmente, ad una riduzione della percentuale di sonno profondo, quello che davvero rilassa l’organismo, con un aumento delle attività classiche della fase Rem, in cui si sogna. Per questo quando si hanno i capelli bianchi ci si sveglia di più la notte e ci si sente più facilmente stanchi durante la giornata, come se non si fosse dormito bene.
La differenza tra sonno pesante e sonno leggero
Il sonno è caratterizzato da una cascata di eventi che si susseguono in cicli ben prestabiliti. Ogni ciclo, che dura circa un’ora e mezza, è fatto da una fase di sonno non Rem e una fase di sonno Rem, quella in cui gli occhi si muovono, il corpo si comporta come fosse sveglio e si sogna. Ma la fase Rem occupa solo il 20 per cento dell’intero ciclo. Nella fase non Rem, invece si susseguono quattro periodi: le prime due di sonno leggero, in cui basta anche un rumore per svegliarsi, la terza e la quarta di sonno profondo. Se si susseguono tanti microrisvegli, all’interno dell’alternanza delle fasi REM e non-REM, il cervello che si sveglia involontariamente si “desincronizza” e quindi tende a ritornare alla fase precedente. Per cui i ritmi normali del sonno si modificano e si dilatano, e al mattino dopo ci si sente poco riposati.
Le alterazioni del ciclo del sonno: i microrisvegli
In molte persone che genericamente si definiscono insonni capita che ci sono brevi momenti di attività che fanno “svegliare” il cervello o magari fanno muovere qualche muscolo, senza che l’individuo se ne accorga. Durano in media una decina di secondi e si chiamano “microrisvegli”. Normalmente nella notte di un giovane ci sono 15 microrisvegli, e il loro numero tende a raddoppiarsi negli anziani che hanno un sonno più frammentato e hanno più bisogno della pennichella pomeridiana. Ma in alcuni casi, in una notte ci sono anche più di cento microrisvegli, e in certi individui si arriva al numero esorbitante di 5-600 sveglie indesiderate, come si può verificare nella sindrome delle apnee ostruttive. Il risultato è che il giorno dopo ci si sente stanchi, sonnolenti e ci si interroga su quanto si è realmente dormito. Anche se l’orologio ha detto che le ore di sonno sono state più che sufficienti, non ci si sente riposati perché si è spezzato il ritmo del riposo.
Quando si parla di insonnia
Da qualche anno il DSM-5, la bibbia degli psichiatri, ha definito l’insonnia come un disordine non più considerato solo un sintomo di altre malattie. L’insonnia viene dunque riconosciuta come una malattia delle 24 ore, una patologia con una sua dignità.
L’insonnia è un disturbo molto prevalente nella popolazione generale, con marcati picchi in relazione all’età avanzata e al genere femminile, soprattutto in particolari fasi della vita come la menopausa. Bisogna distinguere la prevalenza dell’insonnia acuta e dell’insonnia cronica. Si definisce “insonnia acuta” quella con una durata inferiore ai tre mesi e “insonnia cronica” quella con durata superiore ai tre mesi fino a tutta la vita. Per la forma a breve termine, la forbice nei diversi studi epidemiologici oscilla fino al 30% della popolazione, intendendo individui che almeno una volta nel corso della loro vita hanno sofferto di insonnia; la forbice dell’insonnia cronica che è una vera e propria patologia, oscilla dal 10% al 15%. Queste percentuali sono in ogni caso orientative, perché strettamente legate alle modalità con cui sono stati raccolti i dati epidemiologici.
Come si manifesta l’insonnia
L’insonnia si manifesta in molti modi: alcuni individui lamentano difficoltà a prendere sonno, altri si addormentano subito ma si svegliano dopo quattro ore e non riescono più ad addormentarsi o rimangono uno stato di dormiveglia; poi ci sono quelli che prendono sonno ma si svegliano spesso, si riaddormentano e si svegliano ancora. L’insonnia può manifestarsi a qualsiasi età: ne esistono forme diverse da quella infantile a quella dell’adulto. Non esiste neppure un profilo del/della paziente insonne o quanto meno non ancora, perché ancora non è stata identificata una fenotipizzazione completamente validata dell’insonnia, ossia non è stato individuato attualmente un profilo o profili standard convincenti. Si distinguono, al momento, pazienti con insonnia primaria, cioè una insonnia indipendente da condizioni particolari, mediche o psichiatriche, e pazienti con insonnia secondaria e cioè derivante da altri fattori fisiologici o patologici, da specifiche terapie farmacologiche o abuso di sostanze (cibo, alcol, droghe). Inoltre, distinguiamo pazienti con insonnia di inizio (ovvero difficoltà di addormentamento), di mantenimento (ovvero con elevata frammentazione del sonno) e da risveglio anticipato, anche se alcuni pazienti possono presentare tutte e tre queste forme contemporaneamente.
Le conseguenze del dormire poco
Esisterebbe correlazioni strettissime tra un riposo notturno insufficiente per qualità e quantità e problemi a carico del sistema nervoso. Lo dimostrano, ad esempio, i risultati dello “Sleep study”, condotto all’Università della California a San Francisco, che ha valutato le informazioni relative alle abitudini del sonno di oltre 200.000 veterani di età superiore ai 55 anni. La ricerca mostra chiaramente come chi presenta disturbi del sonno – oltre alla classica insonnia sono state considerate anche le apnee notturne che “tolgono il respiro” e costringono al risveglio e a un riposo insoddisfacente e spezzettato – avrebbe un rischio maggiore di sviluppare problemi neurologici seri nella terza età. È solo un esempio, che però spiega quali rapporti esistano tra l’insonnia e il buon funzionamento del sistema nervoso.
Come si spiegano tutte queste interrelazioni? In estrema sintesi, se manca il giusto riposo il cervello soffre perché non si generano quei meccanismi di “pulizia” delle cellule cerebrali che consentono la loro ottimale funzione.
Senza il giusto riposo (ottimali sono almeno le sette ore per notte, al limite meglio qualche minuto in più che in meno) in pratica nel cervello “si accumulano rifiuti”, che possono avere effetti potenzialmente pericolosi nel tempo sul benessere complessivo – fisico e psicologico di ognuno di noi.
Chi dorme poco accumula peso corporeo
Esiste poi uno stretto rapporto tra metabolismo, regolazione del peso corporeo e insonnia. Sono ormai molte le osservazioni scientifiche che dimostrano come le persone che dormono di meno abbiano una possibilità più alta di divenire obesi: peraltro chi è obeso, si lamenta più spesso di sentirsi assonnato durante il giorno. I motivi di questo fenomeno non sono chiari. Certo è che la restrizione di sonno può determinare alterazioni nella secrezione di ormoni che regolano il senso dell’appetito e la spesa energetica. In particolare, se manca il giusto riposo, si può avere un calo nella secrezione della leptina, ormone che favorisce la riduzione del senso dell’appetito e, al contempo, facilita il consumo calorico. A peggiorare la situazione concorre poi l’aumento della sintesi di un altro ormone, la grelina, che invece stimola l’appetito. Questo meccanismo si rivela tremendamente efficace, tanto che in carenza di sonno prolungato l’aumento di peso può verificarsi anche in una persona che pure segue un’alimentazione corretta. Questo circolo vizioso, peraltro, si osserva a tutte le età.
Secondo una ricerca pubblicata su Pediatrics, tra i giovani che dormono meno di otto ore e mezzo per notte si riscontra un tasso di obesità del 23,5%, che cala al 12% tra quanti hanno una media di sonno di oltre nove ore e 25 minuti. E il medesimo problema può riguardare le donne: il Nurses Health Study, che ha arruolato nel 1986 circa 60.000 donne sane, non obese, di età compresa tra 39 e 65 anni, ha dimostrato che dopo dodici anni di osservazione chi aveva riferito di dormire cinque ore per notte aveva visto aumentare il proprio peso in media di quasi due chili e mezzo in più rispetto alle donne che riferivano di dormire in media sette ore per notte.
Chi non dorme si ammala di più
Ce ne accorgiamo tutti. Quando siamo vittima di un’influenza o di un’infezione virale ci sentiamo stanchi, indeboliti e dormiamo di più. Perché succede? In caso di attacco di virus e, più in generale in presenza di una infiammazione vengono liberate dal sistema immunitario specifiche sostanze di risposta, chiamate citochine, in grado di stimolare una vera e propria “caduta” tra le braccia di Morfeo. In particolare, secondo una ricerca apparsa su Nature Reviews Neuroscience, il “motore” invisibile di questo fenomeno sarebbe una particolare citochina, l’Interleuchina, attiva anche sui neuroni che regolano il sonno e sui neurotrasmettitori, che favoriscono il passaggio dei segnali nervosi. Dormire, quindi, rappresenta, in caso di infezioni, un mezzo dell’organismo per potenziare le armi di difesa come la febbre e gli altri sistemi di reazione ai virus. Se si dorme poco e male, i meccanismi di difesa dell’organismo si indeboliscono: dormire bene ci aiuta, insomma, anche a proteggerci dalle infezioni.
Perché ci addormentiamo: la luce, il buio e la temperatura
Ricordiamo che l’essere umano ha un ritmo del sonno sincronizzato sulle 24 ore in base all’alternarsi tra luce e buio. A “gestire” il ritmo del sonno è fondamentalmente un piccolo gruppo di neuroni che riceve gli stimoli della luce e del buio attraverso una particolare via nervosa che parte dalla retina, la zona dell’occhio capace di ricevere le sensazioni luminose e trasformarle in segnali nervosi, e arriva appunto all’ipotalamo. A questo meccanismo si aggiunge l’attività della melatonina, un ormone prodotto dall’ipofisi durante la notte che riesce ad agire su alcuni neuroni per regolare il ritmo sonno-veglia. Di conseguenza, un aumento della luce influisce sul normale ritmo del sonno. Anche la temperatura, comunque, ha un ruolo importante. La curva di propensione al sonno appare, infatti, in stretta correlazione con la temperatura interna dell’organismo. Per cui tendiamo ad addormentarci quando il valore termico del corpo è ai minimi delle 24 ore, mentre ci svegliamo quando sale. Questi momenti vengono chiamati “porte” del sonno e vanno sfruttati al meglio per appisolarsi. Anche per questo motivo, infatti, tendiamo ad addormentarci sempre intorno alla stessa ora e se alteriamo i ritmi di vita, come succede per esempio, in vacanza, il riposo diventa più difficile. Mediamente, il desiderio di dormire sale tra le ventidue e le tre del mattino, cala drasticamente durante la mattinata per riaccendersi nelle prime ore del pomeriggio. C’è poi una zona “preclusa” al sonno, che si concentra tre la diciassette e le ventuno. La temperatura corporea segue questo tipo di tendenza, alzandosi in mattinata e verso il tardo pomeriggio per poi diminuire dopo il pranzo e la notte.
Consigli e rimedi per dormire bene
Detto che l’insonnia è essa stessa una malattia occorre sempre parlarne con il medico, evitando il “fai da te”, nelle forme temporanee di difficoltà del sonno legate, ad esempio, a cambi di stagione o a particolari stress, i farmaci di automedicazione che aiutano a contrastare l’ansia e a prendere sonno possono essere d’aiuto, così come alcuni rimedi naturali sotto forma di tisane o altre preparazioni. Ma sono soprattutto le buone abitudini ad aiutarci.
Quando si parla di igiene del sonno si intende quell’insieme di comportamenti salutari che si devono adottare per favorire un buon riposo e prevenire eventuali disturbi del sonno che possono insorgere nel corso della vita. La lista è lunga.
- Per prima cosa vanno evitate, prima di mettersi a letto, tutte le sostanze stimolanti (caffè, tè, alimenti che contengono caffeina, energizzanti, farmaci come i simpaticomimetici, nicotina, etc.) e va bandita l’assunzione di alcol che deprime e peggiora le normali funzioni respiratorie durante il sonno.
- Occorre cercare, per quanto possibile, di mantenere una certa regolarità negli orari di addormentamento e risveglio.
- È sconsigliata la sera un’eccessiva assunzione di cibi e di liquidi che, appesantendo lo stomaco, possono disturbare il sonno, come sarebbe da evitare anche l’assunzione di snack dopo cena che, per altro, potrebbe favorire bruciore e acidità di stomaco.
- L’attività fisica va assolutamente evitata nelle ore serali in quanto stimolante, come le attività lavorative e stressanti di sera e di notte.
- Va evitato l’uso del computer, del tablet, dello smartphone, della televisione e dei videogiochi che hanno un doppio effetto negativo: rimandano l’addormentamento, da un lato e, dall’altro questi dispositivi sopprimono la secrezione spontanea della melatonina, strettamente legata al buio.
- Posizione per dormire meglio: in genere, sarebbe consigliabile addormentarsi supini. Così alcuni organi chiave (in primis il cuore) si trovano in condizione ideale: per chi non riesce ad addormentarsi a pancia in su si può pensare al fianco destro, sempre per evitare compressioni sul cuore. Inoltre, fate attenzione a non sbagliare il materasso: se è troppo corto non consente di distendersi. Quindi deve essere più lungo di un metro e novanta, e largo almeno un metro e venti.
- Infine, attenzione non coprirvi troppo per evitare di sudare e di innalzare la temperatura corporea, con il rischio di svegliarvi durante la notte.
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