Dormi poco: e se fosse responsabilità dei geni?
Ci sono persone che non riescono a rimanere a letto per più di sei ore e poi si svegliano. Magari vanno a dormire tardi, intorno alla mezzanotte, e poi alle prime luci dell’alba sono già sveglie e pronte per la giornata. Se nelle ore diurne non ci sono particolari problemi, in questi casi, significa che probabilmente quel tempo di sonno, inferiore alle 7-8 ore consigliate, è sufficiente. Se invece di giorno compaiono improvvisi attacchi di stanchezza, le palpebre si chiudono, diventa difficile rimanere svegli ed attenti e ci si sente nervosi e agitati, probabilmente il riposo notturno non basta. Ed occorre porre rimedio, ad esempio con i medicinali di automedicazione ad azione blandamente sedativa che nelle forme più leggere e passeggere d’insonnia possono risultare di grande aiuto per facilitare il riposo.
Se però il problema sussiste nel tempo sempre meglio parlarne con il proprio medico di fiducia. Come detto, tuttavia, ci sono comunque uomini e donne che dormono poco e comunque non hanno particolari problemi. Come è possibile? Per loro il segreto delle veglie prolungate senza alcuno stress potrebbe essere da ricercare nel DNA: la mutazione di un gene, infatti, farebbe in modo che l’organismo si adatti a “soffrire” meno e ad essere comunque “soddisfatto” in termini di sonno anche se il riposo notturno non raggiunge le ore consigliate. Non ci credete e guardate questi apparenti “Highlander” di Morfeo con grande invidia? Andate a leggere la ricerca pubblicata sulla rivista Neuron, condotta dall’Università di San Francisco, Istituto che da tempo si occupa proprio di indagare quanto la predisposizione genetica incida sui ritmi del sonno.
La chiave di questa “fortuna” (dipende da punti di vista) genetica sarebbe da ricercare nella mutazione del gene ADRB1, il secondo ad essere scoperto dagli stessi studiosi che nel 2009 avevano individuato un altro gene dei “sempre svegli”, chiamato DEC2. Lo studio è stato condotto attraverso l’utilizzo di complesse tecniche definite di optogenetica: questa strategia punta a sfruttare l’azione di raggi luminosi specifici per “attivare” alcuni neuroni. In questo modo si è visto che la capacità di dormire poco e di non risentirne sembra essere legata nei topi proprio ad una specifica mutazione del gene ADRB1. Valutando questa situazione e monitorando i neuroni di un’area del tronco cerebrale che entra in gioco nei processi che regolano i ritmi sonno-veglia si è ipotizzato, infatti, che in presenza di questa mutazione anche le persone potrebbero in qualche modo avere un maggior predisposizione allo stato di veglia, senza particolari ripercussioni sul proprio stato di salute. Insomma: per questi soggetti riposare poco non sarebbe un problema e non inciderebbe né sui rischi correlati all’insonnia cronica, ad esempio a carico del metabolismo, né sui pericoli di sentirsi stanchi e nervosi il giorno successivo.
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